Vogliamo entrare in particolari? Allora — come ha fatto ieri Fabio Monti sul Corriere — chiediamoci chi chiama chi. Nel caso dell'Inter — il vero obiettivo di questo baccano — «sono quasi sempre i designatori a chiamare e non il contrario, come avveniva per Moggi». Questo ha una spiegazione triste ma logica: sapendo cosa stavano combinando, volevano saggiare l'umore e la pazienza delle vittime. Perché certe volpi sono pure sadiche, non so se lo sapete.
Altri particolari? D'accordo. Il nome dell'arbitro Collina — citato nella «madre di tutte le intercettazioni» (sic)— non si capisce se sia stato fatto dal designatore Paolo Bergamo o da Giacinto Facchetti (la prima ipotesi appare probabile). Comunque sia: mi sembra che augurarsi la direzione di Collina — il più bravo, superbo e indipendente — fosse un modo per assicurarsi contro gli infortuni. Che capitavano a tutti con una frequenza sospetta; meno che a una squadra di Torino, e non è quella di Chiambretti e Aldo Grasso.
Le nuove intercettazioni non hanno cambiato proprio nulla, allora? No, sostenere questo sarebbe sbagliato. Dimostrano che nel calcio troppa gente parlava troppo, e a sproposito. Quest'intimità tra controllori e controllati — il marchio di fabbrica di quasi tutti i pasticci italiani, da Parmalat al nuovo Assalto all'Appalto — è francamente sgradevole. Ora capisco il motivo per cui è tanto difficile convincere gente esperta come Lippi, Capello, Galliani e lo stesso Collina a raccontarci quegli anni: non vogliono alzare il coperchio, sapendo che la minestra nella pentola non è profumata.
Ma il cattivo odore non è un reato. Tra le telefonate all'italiana — tutti amici di tutti, in attesa di sparlarsi alle spalle— e le accuse di cui deve rispondere Luciano Moggi c'è un abisso. Peccato che qualcuno tenti di farlo passare per una pozzanghera. Magari l'amore per l'Inter mi annebbia la vista, e non riesco a capire che le nuove intercettazioni configurano altri reati. Se così fosse, d'accordo, si facciano altri processi. È accettabile.
Quello che NON è accettabile è il solito «tutti colpevoli, nessun colpevole». Dall'epo nel sangue dei ciclisti ai soldi sui conti dei politici sentiamo sempre la stessa storia. Falsa. «Tutti colpevoli, colpevoli tutti». Ecco, questa sarebbe una conclusione corretta, anche se scomoda. Poi però bisogna vedere QUANTO sono colpevoli i vari colpevoli. Il tentativo di portare Giacinto sul piano di Luciano è offensivo. Da chi telecomandava gli arbitri con schede svizzere a chi regalava un panettone per Natale esiste una differenza, mi sembra. Fossi John Elkann sarei contento d'essere stato svillaneggiato, una volta ancora, dall'ex-direttore generale della sua Juventus: la consideri una medaglia al valore. Meno valoroso— l'ha stabilito la giustizia sportiva, l'ha confermato la giustizia ordinaria (sentenza Giraudo), lo ribadiscono i ricordi di tanti ordinari sportivi — è quanto accadeva a Torino prima che lui arrivasse. JE, mi ascolti: chiuda quella porta, esca, riparta. Ogni anno è un anno nuovo. La Juventus — l'ha dimostrato anche ieri sera — resta una buona squadra e potrebbe tornare ottima. Ha bisogno solo di calma, sincerità e serenità. Non di spremute livide servite direttamente dal passato.
Anzi, hanno già cominciato.
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